Un caffè con.. Stefania: OSS e caregiver.

Stefania di lavoro fa l’OSS, nella vita è moglie, madre, sorella, zia, amica, e immagino tante altre cose, ma è anche caregiver di suo papà, malato di Alzheimer giovanile.

E’ la sua storia di vita che l’ha spinta a voler creare una rete di assistenza per i caregiver, ed è così che siamo entrate in contatto: per poter mettere insieme le nostre competenze al servizio di altri.

Ho voluto intervistarla inaugurando la rubrica “Un caffè con..” affinché possa essere di testimonianza per altre persone. Buona lettura!

un caffe con stefania

Stefania, parlaci un po’ di te.

Sono Stefania, ho iniziato a lavorare come OSS nel 2010, prima in una comunità per disabili, poi in varie strutture socio assistenziali e infine presso il domicilio degli utenti. E’ proprio entrando a casa dei miei utenti, che ho compreso, il vero significato della parola assistenza: la sfida più grande è entrare in relazione con le persone che assisti e con i loro familiari, creare un rapporto di fiducia nonostante tutte le difficoltà. E’ tutto molto stimolante, ma allo stesso tempo complicato: assistere una persona anziana e/o disabile non vuol dire solo preoccuparsi di eseguire una corretta igiene, vestirla e dargli da mangiare.

Assistere una persona, vuol dire anche ascoltarla, coccolarla e comprenderla

Nel 2015 una malattia neurodegenerativa colpisce mio padre, alla sola età di 57 anni, e di conseguenza tutto il mio nucleo familiare, costringendo mia mamma a mettere in pausa la sua vita per diventare caregiver. Io avevo 25 anni, mi stavo sposando e successivamente sarebbe nata Matilde, mia figlia.

Come ti sei sentita al momento della diagnosi di tuo papà?

Era il 17 marzo del 2015 e dopo una lunga introduzione finalmente arriva la diagnosi di mio papà: Alzheimer giovanile, dico “finalmente”, perché gli esami per escludere altre malattie stavano diventando infiniti e la pazienza iniziava a svanire!

Avevo chiesto a mamma di non piangere, di essere forte e lo ha fatto. Io invece non riuscivo a smettere di piangere, ero arrabbiata, avevo paura, iniziavo ad avere sensi di colpa per dedicarmi a me stessa. Ad un certo punto mi stavo ammalando: mi mancava il fiato di notte e mi si chiudeva lo stomaco di giorno, fino ad arrivare ad avere veri e propri attacchi di panico.

Ho capito che dovevo chiedere aiuto e affidarmi ad una psicologa per poter affrontare tutte queste emozioni

Come ha influenzato la tua professione nella cura del papà?

Ero convinta che gli anni di lavoro nelle strutture mi avrebbero aiutata ad affrontare quella situazione, ma la differenza, ovviamente era che lui non era un mio utente.  Inizialmente mi sono comportata esattamente come avrei fatto con l’utente X: davo consigli alle loro famiglie su come eseguire alcune corrette manovre di assistenza, la stessa cosa la facevo con mamma, cercavo infatti di supportarla il più possibile, su tutto ciò che riguardava l’assistenza di papà.

Credevo sarebbe stato tutto così semplice, in fondo ero una OSS, in realtà stavo solo indossando uno scudo, sapevo che prima o poi avrei dovuto fare i conti con le mie paure, la mia rabbia, la mia frustrazione e con quel senso di impotenza che giorno dopo giorno mi annebbiava la vista.

La verità è che volevo continuare a sentirmi figlia e non assistente: quella che non ascolta i consigli di papà, che fa un po’ come le pare, ma che sa di poter contare su di lui, ma tutto questo non era più possibile.

Cos’hai imparato dal prenderti cura di lui?

Quello che ho imparato è che l’amore non basta a garantire una corretta assistenza.

C’è bisogno di consapevolezza delle emozioni che si provano in quella situazione, anche quelle che ci sembrano negative, per non reprimerle più, per non soffocarle nel nostro io più profondo, come se avere paura fosse una vergogna. Prendersi del tempo per curare le proprie ferite e stare meglio con se stessi non è mai tempo perso.

Quello che ho imparato, e di cui ne faccio un valore aggiunto lavorativo (e non solo), è chiedersi “E NOI, COME STIAMO?”: anche i caregiver hanno bisogno di supporto, non solo per conoscere le giuste tecniche e saper comunicare al meglio con il malato, ma anche per evitare di trascurarsi psicologicamente e fisicamente.

E’ il motivo che mi ha spinto a cercare e creare una rete di assistenza con diverse figure professionali di supporto al caregiver.

Cosa ti senti di consigliare ad un caregiver?

Il mio consiglio è quello di non essere troppo rigidi con se stessi: spesso pretendiamo il meglio sempre e comunque, quando invece ogni tanto dovremmo imparare a vivere il momento, vivere qui e ora, senza farci confondere da pensieri esterni, che riportano al nostro passato o al nostro futuro.

E’ importante inoltre lavorare sul benessere psico-fisico per riuscire a fare altrettanto anche con le persone alle quali vogliamo garantire altrettanto benessere: chiedere aiuto, se necessario, è il primo gesto d’amore che facciamo nei nostri confronti delle persone che amiamo.

Ringrazio Stefania per averci fatto entrare, come piace a me, “in punta di piedi” nella sua vita privata. Se volete seguirla la trovate sulla sua pagina professionale INSTAGRAM con tante indicazioni e consigli su come prendervi cura del vostro caro.

Se desiderate parlare della vostra esperienza come caregiver, prendervi virtualmente (o perchè no, dal vivo) un caffè con me e partecipare a questa nuova rubrica scrivetemi a: gretameraviglia.psicologa@gmail.com o +39 379 1509618.

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